Chissà come se l’è vissuta la sua vita artistica, sempre nell’ombra e oscurato dal fratello maggiore, di età e di gloria. Non deve essere stato facile suonare lo stesso strumento ma trovarsi dietro le scene, confuso con l’altro, quello più bravo, quello più famoso.
Peter Kaukonen è stato un buon chitarrista, uno dei tanti della West Coast, della San Francisco hippy, dei viaggi lisergici e contemporaneamente dell’amore per il blues e il country, le radici della musica americana. E Peter è stato, e lo è ancora, il fratello minore di Jorma Kaukonen, chitarrista dei Jefferson Airplane e degli Hot Tuna, da lui fondati insieme a Jack Casady. Ecco, come la mettiamo adesso? Magari uno decide di cambiare strumento, oppure di cambiare musica, di trovarsi una sua via in qualche modo alternativa al percorso trionfale del fratello. E invece niente. Anzi, Peter nutre gli stessi amori in fatto musicale e ruota addirittura nello stesso giro, ahimè da comprimario. Suona ogni tanto con i Jefferson Airplane, partecipa alle registrazioni di Manhole di Grace Slick e del fondamentale Blows Against Empire, a nome Paul Kantner e Jefferson Starship. E suona talvolta anche con Johnny Winter e Link Wray, bluesmen importanti e famosi. Ma non decolla, non emerge se non come fratello di….
Eppure, ad un certo punto, la possibilità gli viene data. I Jefferson, alla scadenza del contratto con la RCA, decidono di fondare una loro etichetta, la Grunt, per la produzione dei nuovi prodotti discografici del gruppo e non solo. Infatti, verrà dato spazio a situazioni collaterali, musicisti vicini al gruppo madre, collaboratori, progetti solisti. Ed ogni musicista parteciperà in misura eguale alle royalties derivate dalle vendite di tutti i dischi Grunt. Un sistema sicuramente equo e certamente controcorrente nell’ambito discografico. Così, tra Hot Tuna, Jefferson Airplane ed altri spunta fuori il disco solista di Peter Kaukonen, Black Kangaroo, pubblicato per l’appunto dalla Grunt nel 1972.
Il chitarrista assembla un gruppo di collaboratori, non una vera e propria band stabile anche se l’intenzione è quella, tra i quali il più famoso è il batterista dei Jefferson e degli Hot Tuna Joey Covington. Al basso abbiamo Larry Weisberg, che in realtà non è altri che Larry Knight, bassista degli Spirit post 1974, e in un solo brano Mark Ryan, nei Quicksilver Messengers di Comin’ Thru e Quicksilver. Alla batteria, oltre a Covington, c’è anche Shelley Silverman, presente nel brano When I Was A Boy I Watched The Wolves su Sunfighter di Kantner e Slick. Insomma, come si vede, il giro della San Francisco hippy, della California alternativa.
La musica del Canguro Nero è fortemente improntata ad un sano rock blues, con innesti psichedelici e momenti acustici. L’apertura è affidata ad una potente Up Or Down, tra Hendrix e Hot Tuna elettrici, mentre Postcard, il secondo brano, ricorda i Jefferson Airplane di After The Bathing Baxter’s, con l’immancabile Nick Buck al piano e alle tastiere, e quelle atmosfere delicate e cangianti. In What We All Know And Love ritorna l’energia rock con bei riff di chitarra ed apprezzabili interventi solistici. Chiude la prima facciata Billy’s Tune, strana ballad psichedelica, contraddistinta da un elaborato arpeggio di chitarra e un efficace Covington alla batteria che movimenta il brano.
Barking Dog Blues, il primo brano della seconda facciata, ci porta dentro le sonorità degli Hot Tuna del primo disco. È un blues alla chitarra acustica con i latrati di un cane che ricordano tanto Seamus dei Pink Floyd. Il potente riff alla Hendrix apre Dynamo Snack Bar, un po’ forzata ma efficace, mentre Prisoner ci riporta dalle parti del rock blues più psichedelico. Chiude il disco That’s A Good Question, un acquerello acustico con violoncello e quel sapore country che ritroveremo poi su Quah, l’esordio solista di Jorma Kaukonen del 1974. A fronte di una voce non all’altezza e della mancanza del brano trainante, il disco si lascia ascoltare con piacere. Buoni arrangiamenti, una marea di chitarre ben suonate e un fantastico Joey Covington, purtroppo non presente su tutti i brani. Ma è come se mancasse sempre qualcosa, la scintilla che accende l’intero disco. Ci sono gli ingredienti giusti, le giuste proporzioni, ma non lievita, non fermenta. Che dire, fosse uscito di questi tempi avremmo probabilmente parlato di un ottimo disco di rock blues. Il problema è che nel 1972 la qualità media era elevata e dischi come Black Kangaroo rischiavano, come poi è stato, di passare sotto silenzio.
Peter non ebbe più altre occasioni di pubblicare suoi album per la Grunt, anche se ha continuato la sua carriera ancora lontano dai riflettori, pubblicando dischi semisconosciuti e accompagnando dal vivo i personaggi della West Coast. Ma, curiosamente, mi è tornato sotto gli occhi per una storia assai bizzarra che non fa altro che contribuire all’alone di stranezza e malinconia che circonda il musicista.
Tempo fa acquistai in edicola, per la collana Prog Italia, la riedizione in cd del terzo disco del Canzoniere del Lazio, gruppo folk/prog degli anni 70, Spirito Bono. Un ottimo lavoro, pubblicato nel 1976, dove il repertorio folk veniva intrecciato e contaminato con il jazz e il rock, ricco di improvvisazioni e decisamente elettrico. Nell’accurato booklet c’è la storia del gruppo, interviste ai musicisti e la genesi del disco. E chi c’era in qualità di produttore e tecnico del suono? Proprio lui, il nostro Peter Kaukonen. Ma non basta. Il suo ingaggio venne suggerito dal proprietario dello studio di registrazione, un certo Bobby Solo, per dare un’aria di internazionalità al lavoro. Raggiunto grazie ad un amico giornalista che viveva a Los Angeles Peter accettò con chiaro entusiasmo l’offerta e, invece di fermarsi per soli due mesi, restò poi in Italia per circa due anni.
Con enorme sorpresa, nel booklet trovai anche una breve intervista a Kaukonen, dove il chitarrista confessava, a distanza di più di quarant’anni, di non aver mai lavorato come produttore e tecnico del suono a livello professionale prima di allora. E di aver quindi combinato una serie di casini legati alla sua inesperienza, cancellando spesso frammenti di registrazioni tra le quali anche una ventina di minuti di organetto che Giannattasio dovette poi reincidere con enormi difficoltà.
Le strane, particolari e malinconiche vicende del Canguro Nero, fratello minore di….